La carne sintetica e il suo divieto

La carne sintetica e il suo divieto
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Agroluddismo o un pericolo scongiurato?

Nei mesi scorsi si è parlato molto di “carne sintetica” in seguito alla raccolta firme promossa da Coldiretti alla quale hanno aderito esponenti di quasi tutti i partiti ed al disegno di legge 651, presentato dal governo il 7 aprile di quest’anno dai ministri Lollobrigida (ministro dell'agricoltura, sovranità alimentare e foreste) e Schillaci (ministro della Sanità), ma di cosa si tratta?

Il termine “carne sintetica” non ha una vera e propria definizione legale e non corrisponde ad un alimento specifico, per tanto può creare confusione nel pubblico. Sul mercato possiamo infatti trovare già oggi prodotti creati per sostituire la carne da allevamento, come le carni “plant-based”, ovvero carni create partendo da sostanze vegetali (tra cui la famosa Beyond Meat) che tentano di replicare sapore e consistenza della carne tradizionale, ma che non rientrano nel DDL tanto discusso.

Analizzando quindi il testo del disegno di legge troviamo una definizione più chiara degli alimenti banditi, infatti l’art.2 recita: “...è vietato agli operatori del settore alimentare e agli operatori del settore dei mangimi, impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, vendere, detenere per vendere, importare, produrre per esportare, somministrare o distribuire per il consumo alimentare, alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati”.

Appare dunque evidente dall’articolo e dalla comunicazione dei promotori del DDL (sebbene non sia esplicitato in maniera chiara nel testo), che il prodotto preso di mira è quello che internazionalmente viene chiamato “Cultured Meat”, un nome forse più appropriato rispetto al termine “carne sintetica” usato comunemente in Italia, in quanto non connota negativamente come il termine “sintetica”, che spesso suscita ideologie negative nelle persone al di fuori del settore.

Ma che cos’è questa “Cultured Meat” o “Carne Coltivata”? Parliamo di prodotti creati per essere identici alla carne che tutti conoscono, sia dal punto di vista nutrizionale che dal punto di vista culinario, ma generati non dall’allevamento e dalla macellazione, ma dalla riproduzione di cellule degli animali a condizioni controllate. Attualmente è principalmente prodotto e commercializzato il pollo, che viene consumato principalmente in sostituzione al petto sotto forma di spiedini, salsicce o fritto; alcune delle aziende leader in questo settore sono GOOD Meat, UPSIDE Foods e SuperMeat, ma sono presenti anche molte startup. Altre tipologie di carne sono state realizzate ma non sono ancora entrate nel mercato, Upside Foods ha presentato prodotti a partire da manzo ed anatra, e Orbillion propone un hamburger di manzo “premium”. Da citare anche la startup svizzera MIRAI FOODS, fondata all’inizio di quest’anno e che sostiene di poter creare un prodotto derivato da cellule di manzo con una consistenza migliore.

Per la produzione di carne coltivata si parte da un campione cellulare (fibroblasti di pollo “C1F-P1” della tipologia UMNSAH/DF1 nel caso di GOOD Meat), il quale è stato analizzato, standardizzato, immortalizzato*, replicato e conservato in una banca cellulare. Una volta estratte dalla banca le cellule vengono scongelate e fatte replicare prima in beute tenute in agitazione, poi in bioreplicatori in movimento “wave bag”. Seguono poi due passaggi di incubazione in bioreattori* da 200L e 1000L.

Una volta ultimata la fase di moltiplicazione le cellule vengono separate dal loro brodo di coltura* tramite centrifugazione, poi dopo un lavaggio ulteriore avviene la conservazione. Le cellule prima di essere servite vengono disposte a creare un prodotto dall’aspetto uguale e dalla consistenza simile alla carne a cui siamo abituati, per questa parte del processo ci si serve di tecnologie quali impalcature di collagene o gelatina durante la crescita, stampa 3D e estrusione*.

Il processo è quindi abbastanza semplice e richiede poche settimane, ma non è esente da rischi per la sicurezza e sono previsti protocolli per prevenire incidenti: le colture di partenza (sia nelle linee iniziali che nelle colture uscite dalle banche cellulari) devono essere certificate come prive di virus aviari e umani, inoltre tutti i processi produttivi devono essere svolti in ambiente asettico, così da impedire lo sviluppo di microorganismi potenzialmente patogeni o alteranti, è inoltre garantito un controllo sul siero bovino* che deve risultare negativo alla BSE. Questi accorgimenti tecnologici hanno reso il prodotto idoneo alla commercializzazione secondo l’FDA*, inoltre si evitano rischi propri della produzione tradizionale della carne, non avviene infatti la macellazione, un passaggio critico che può portare la carne a contaminazioni di varia natura, anche patogena. La sicurezza microbiologica nella produzione è un cavallo di battaglia della carne coltivata, e viene messa in evidenza nei siti di molti produttori (tra cui GOOD Meat e UPSIDE foods).

Sono stati inoltre sollevati dubbi sui potenziali “errori di moltiplicazione” cellulari che possono verificarsi in queste produzioni (un fenomeno assolutamente naturale, che tuttavia si suppone possa danneggiare la produzione ed il consumatore) non sono stati tuttavia stati riscontrati casi di patogenicità dovuti a questo fenomeno.

Vi sono anche altre criticità riguardo il prodotto finale: il pollo GOOD Meat possiede un profilo nutritivo simile al pollo allevato, ma non è scontato che ogni produzione di carne coltivata abbia questa caratteristica, si rende quindi necessario effettuare controlli specifici sui diversi sistemi produttivi delle aziende. Rimane ancora suggerito contenere il consumo di questi prodotti, che rimangono prodotti carnei e che, specialmente per quando riguarda le carni rosse, sono associati a rischi per la salute. Inoltre, a parere del legislatore italiano, gli studi che testimoniano la sicurezza di questi prodotti sono brevi ed insufficienti a causa della scarsa campionatura.

Un altro aspetto da considerare nella valutazione della carne coltivata è l’impatto ambientale, l’allevamento è ritenuto corresponsabile dell’inquinamento atmosferico causato dall’uomo, e si guarda alla cultured meat come un’alternativa promettente; occorre valutare le diverse modalità di impatto, John Lynch (ricercatore di Oxford) evidenzia nel suo studio come il metano (gas estremamente inquinante prodotto nell’allevamento bovino) abbia una permanenza atmosferica di 12 anni circa, molto minore rispetto alla CO2 (millenni) prodotta dal consumo energetico. Concludendo quindi che l’impatto della carne coltivata (processo energivoro che produce CO2) è dato dalla disponibilità di fonti di energia a basse emissioni. John Lynch ricorda inoltre che l’impatto ambientale non coincide unicamente con l’inquinamento atmosferico, e la produzione bovina è associata ad altre forme di danni, come l’acidificazione delle acque.

Carbon Footprint

Un altro studio avanzato da CE Delft* ci mostra come la carne coltivata presenta attualmente emissioni di CO2 molto minori rispetto alla produzione di carne di manzo (figura 1), ma maggiori rispetto a pollo e maiale, viene tuttavia mostrato che rendendo la carne coltivata sostenibile (utilizzando fonti energetiche a basse emissioni), otteniamo un prodotto che genera un inquinamento atmosferico inferiore rispetto a tutte le produzioni carnee. Questo studio indica anche che il consumo di suolo è minimo, ed il consumo di acqua è paragonabile alle produzioni di pollo e maiale (figure 2 e 3), quindi molto inferiore al consumo da parte del manzo.

Carbon Footprint Carbon Footprint

Tutti i discorsi vengono tuttavia interrotti dalla mancanza di una approvazione da parte di EFSA (riferimento europeo per le questioni inerenti al mondo del food) e dalla assenza una normativa comunitaria, risulta quindi impossibile produrre e commercializzare la carne coltivata sul suolo dell’Unione Europea, in Europa sono infatti obbligatori studi che testimoniano la mancanza di pericoli associati alla produzione ed al consumo di un alimento (con alcune eccezioni dovute a produzioni specifiche, come il vino).

Dal fronte italiano il DDL 651 ha lo scopo di tutelare maggiormente la salute dei cittadini, rafforzando ulteriormente il blocco europeo, come specificato nel primo comma dell’art 1: “La presente legge reca disposizioni dirette ad assicurare la tutela della salute umana e degli interessi dei cittadini nonché a preservare il patrimonio agroalimentare, quale insieme di prodotti espressione del processo di evoluzione socio-economica e culturale dell'Italia a, di rilevanza strategica per l'interesse nazionale”.

È tuttavia quantomeno inusuale creare una legge per vietare dei prodotti che già non possono essere immessi nel mercato poiché privi di approvazione, e questo ulteriore blocco legislativo può trovare giustificazione nella seconda parte dell’art 1, dove viene posto l’obbiettivo di proteggere il patrimonio agroalimentare ed i prodotti del processo di evoluzione socio-economica e culturale italiana, definendoli “di rilevanza strategica”. Emerge dunque la volontà di bloccare lo sviluppo della carne coltivata sul nascere in Italia, inquanto in concorrenza con le produzioni attualmente radicate nel nostro territorio. Questo approccio conservatore è da molti criticato, poiché si crea uno stato dove l’industria specifica non può svilupparsi, ma potrebbe nascere la domanda del prodotto da parte del consumatore, che dovrà consumare prodotti importati, danneggiando lo stesso settore alimentare italiano che si cerca di proteggere.

In conclusione, la carne coltivata o sintetica è un prodotto che presenta ancora degli interrogativi e per vederla commercializzata in Unione Europea occorrono ancora studi e soluzioni logistiche che la rendano un prodotto sicuro, ecologico e conveniente. Tuttavia, in un futuro dove questo prodotto è contemplato, precludere la possibilità di investimenti e la nascita di imprese del settore in Italia è una scelta che pone il sistema agroalimentare nazionale in svantaggio. Rimane comunque la possibilità di revocare il divieto qual ora il prodotto venisse approvato, ma in quel caso sarebbe richiesta una volontà politica non scontata (la campagna di Coldiretti contro la carne sintetica è stata appoggiata da membri sia di destra che di sinistra). Nel frattempo, per chi si fosse incuriosito, sono presenti a Singapore, negli Stati Uniti ed in Israele realtà che già servono questo prodotto.

Note:


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